STORIA DEL MANICOMIO DI RIETI

LA SALUTE MENTALE PRIMA DEL 1927

Molti dei manicomi italiani derivavano da antiche istituzioni confraternali ed erano regolati dalla legge del 3 marzo 1862 sulle Opere pie e di beneficenza. Questa non disegnava una chiara distribuzione delle competenze tra beneficenza pubblica e privata, attribuendo a quest’ultima quanti più compiti e spese possibili. Più che trentennale fu il percorso per arrivare alla prima legge manicomiale. Tutte le leggi in campo sanitario, in particolare quelle del 20 novembre 1859 e del 20 marzo 1865, affidavano la tutela della salute pubblica alle varie articolazioni del ministero dell'Interno, riconoscendo un ruolo puramente consultivo ai medici all'interno degli organismi deputati al controllo della salute della popolazione. Fu con l'istituzione della "Direzione generale della Sanità pubblica" del 3 luglio 1887 istituita presso il Ministero dell'Interno e affidata al medico Luigi Pagliani, che si cominciò a dare autonomia all'amministrazione sanitaria. La legge sanitaria Crispi del 22 dicembre 1888 ordinò organicamente queste nuove disposizioni. Il 14 febbraio 1904, dopo anni di discussione in parlamento e nell'ambito della "Società di Freniatria", venne finalmente emanata la legge n. 36, “Disposizioni sui manicomi e sugli alienati. Custodia e cura degli alienati” che sanciva il rapporto tra società e istituzione psichiatrica in termini di separazione e esclusione; infatti disponeva che avrebbero dovuto "essere custodite e curate nei manicomi le persone affette per qualunque causa da alienazione mentale, quando siano pericolose a sé e agli altri o riescano di pubblico scandalo e non siano e non possano essere convenientemente custodite e curate fuorché nei manicomi". Sotto questa denominazione venivano compresi 'tutti quegli istituti, comunque denominati, nei quali vengono ricoverati alienati di qualunque genere'.

IL MANICOMIO A RIETI

Prima del 1923 il Manicomio di Rieti faceva parte del Manicomio di Perugia, ma con il distacco del circondario di Rieti dall'Umbria, avvenuto nel 1923, la sezione di Rieti cessò di fare parte del Manicomio provinciale di Perugia divenendo succursale del Manicomio provinciale Santa Maria della Pietà di Roma. Nel 1927, con la riorganizzazione dell'omnicomprensiva Provincia di Roma e la creazione delle province di Viterbo, Rieti, e Frosinone (Regio Decreto 1/1927), l'ospedale trovò la sua definitiva sistemazione come Manicomio Provinciale di Rieti. Il 12 aprile 1927, il Preside Commissario Marinelli De Marco inaugurò ufficialmente il nuovo ospedale provinciale psichiatrico intitolando ufficialmente “Ospedale provinciale di S. Francesco per malattie mentali”: più semplicemente “S. Francesco” e la sede rimase in Piazza San Francesco, nel centro storico di Rieti, fino al 1947. La decisione della Provincia di Rieti di rendere autonomo l’istituto manicomiale cittadino fu molto coraggiosa; infatti Rieti tenne presente le risposte da dare alle necessità dell’assistenza psichiatrica che il nuovo direttore Alessandro Alessandrini desiderava sotto una “visuale ampia ed umana di un dovere da compiere, di uno scopo altamente benefico e profondamente sociale da raggiungere”. DA SAN FRANCESCO A SAN BASILIO Il “S. Francesco”, che tra l’altro ospitava solo malati di sesso maschile, non rispondeva alle caratteristiche di un manicomio: non ne aveva né i requisiti edilizi né quelli topografici. Il dott. Alessandrini, l’allora direttore, paventava l’idea di un istituto di ricovero più moderno proponendo un piano di ristrutturazione ben articolato e innovativo che avrebbe elevato la capacità dell’ospedale. Egli chiese , indicando anche come e dove realizzare gli ambienti, la creazione di un reparto Accettazione-osservazione con sezioni maschile e femminile; di stanze di isolamento per maschi e per femmine pericolosi ricoverati definitivamente e per i prosciolti (art. 46 del Codice Penale dell’epoca) e per i condannati che avevano scontato la pena; locali di isolamento almeno per le donne colpite da malattie infettive (meglio avrebbe corrisposto alle esigenze ospedaliere la costruzione di un “padiglioncino” separato per maschi e femmine); di un gabinetto medico; di un paio di corsie per donne dementi tranquille; di locali per soggiorno, refettorio e parlatorio della sezione femminile; di locali più idonei per la direzione e gli uffici; di una biblioteca; dell’alloggio del direttore. La Provincia di convinse così a realizzare un nuovo e sospirato ospedale psichiatrico e il 3 novembre 1931 acquistò un fondo agricolo di 29 ettari messi a orto, frutticoltura, oliveto e grano, dove esisteva una ampia casa colonica provvista di abbondante sorgente d’acqua. La tenuta era di proprietà della famiglia Matricardi ed era posta sul colle di San Basilio, a sinistra della Terminellese poco fuori Porta D’Arce per questo il nuovo psichiatrico che lì sarebbe sorto negli anni immediatamente seguenti, viene chiamato dai reatini più anziani anche San Basilio.

IL NUOVO OSPEDALE PSICHIATRICO

Il nuovo Psichiatrico avrebbe dovuto fornire, come da anni sosteneva Alessandrini e come i politici dell’epoca seppero molto ben recepire, una assistenza “intesa nel suo complesso profondamente umano di prevenzione, di cura, di assistenza e protezione postmanicomiale, bene in contrasto dunque con i vecchi e deprecati criteri dei depositi per mentecatti”. Del progetto per il nuovo manicomio provinciale di Rieti venne incaricato nel 1932 un architetto di grande fama: Giovanni Battista Milani (1876-1940). Come previsto da Milani: un lungo viale di pini porta ancora oggi dall’ingresso, situato su via del Terminillo, fino alla piazza centrale del villaggio psichiatrico, qui si trova il padiglione riservato all’amministrazione e alla direzione dell’ospedale, alle spalle del quale il progettista aveva disposto tutti gli altri padiglioni rivolgendoli, come il precedente, a mezzogiorno e immergendoli in un folto verde, solcato da un preciso sistema di vialetti sviluppati sia in modo radiale sia in modo anulare, che serviva non per celare ad occhi indiscreti miseria e sopraffazione, ma per infondere, sia nei malati che nei visitatori, sensazioni di serenità e di sicurezza. I lavori, hanno inizio il 13 maggio 1933 e venne deciso, con lo scopo di diluire nel tempo la consistente spesa, di costruire per il momento un gruppo di sette edifici (in pratica un terzo dell’intero comprensorio sanitario) ritenuti fondamentali: la Direzione e Amministrazione, l’Infermeria e Osservazione, la Cucina, il Padiglione tranquilli, il Padiglione semiagitati e sudici, la lavanderia e la Colonia Agricola. In sei anni di lavori vennero portati a termine in tutti i padiglioni, resi perfettamente agibili e dotati del necessario.

VISTA DALL'ALTO ASL RIETI EX MANICOMIO
DALLA SECONDA GUERRA MONDIALE ALLA LEGGE BASAGLIA – FINE DI UN MANICOMIO

Nel mese di ottobre del 1943 l’ospedale “S. Francesco” di Colle San Basilio venne requisito dal comando germanico che prese in uso i padiglioni Direzione, Infermeria donne, Tranquilli e parte di quello in costruzione destinato agli Agitati. Di conseguenza un numero enorme di malati venne trasferito nello stabile di piazza San Francesco decisamente insufficiente e inadeguato per provvedere a un minimo di cure. Al 31 dicembre 1943 i malati ricoverati erano infatti ben 568 e il personale contava su 3 medici, 40 infermieri e 13 suore. Anche se con molta fatica, la fine delle ostilità restituì all’ospedale psichiatrico reatino le funzioni originarie. il vero cambiamento per il Manicomio la Legge Basaglia, ufficialmente nota come Legge 180 del 13 maggio 1978, rappresenta un caposaldo nella storia della psichiatria non solo italiana ma internazionale, segnando una rivoluzione nel trattamento delle persone con disturbi mentali. Questa legge ha posto fine all'era dei manicomi in Italia, abolendo l'ospedalizzazione coatta e introducendo nuovi principi per la cura e l'inclusione sociale dei pazienti psichiatrici. L'approccio rivoluzionario proposto dalla Legge Basaglia si basava sulla convinzione che le istituzioni manicomiali fossero luoghi di esclusione e marginalizzazione, più che di cura. I cambiamenti apportati da Basaglia non riguardano solo la chiusura delle vecchie istituzioni, ma anche la creazione di un sistema di assistenza basato sul territorio, che favorisce l'integrazione piuttosto che l'esclusione. Ma a svuotare l’Ospedale Psichiatrico Provinciale non fu l’emanazione della Legge Basaglia, ma, a vent’anni dall’emanazione del provvedimento rivoluzionario, ci pensò la Procura della Repubblica di Rieti che, a seguito di una denuncia (medici ed infermieri erano stati accusati da una lettera anonima di sequestro di persona perché, per prudenza, di notte toglievano le maniglie dalle porte impedendo l’uscita di soppiatto di alcuni alienati), ordinò l’immediata chiusura dell’intero complesso. Alcuni malati vennero inviati in altri centri (Frosinone e Latina), altri – una quindicina – furono ospitati nella struttura Villa Belvedere in Torricella in Sabina, altri ancora in una RSA non lontana dallo Psichiatrico ed infine gli ultimi pochi furono fatti rientrare in famiglia. La gestione diretta da parte della Provincia dei servizi psichiatrici cessò a seguito della riforma sanitaria il 1 giugno 1980, data a partire dalla quale tutte le funzioni dell'Ospedale furono trasferite all’Unità Sanitaria Locale. A partire dal 1998 inizia ristrutturazione (ancora in parte in corso) dei Padiglioni che ospiteranno gli uffici amministrativi della ASL

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